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Una Class Action aperta in California contro Ubisoft sta portando all’attenzione un tema sempre più preoccupante nel panorama videoludico digitale: i giocatori possiedono realmente i giochi che acquistano? Al centro della disputa troviamo The Crew, titolo di corse online pubblicato nel 2014 e ufficialmente disattivato nel marzo 2024.

La class action Ubisoft The Crew è stata avviata da due consumatori, Matthew Cassell e Alan Lou, che accusano l’azienda francese di frode, pubblicità ingannevole e violazione della garanzia. Secondo l’atto di accusa, Ubisoft avrebbe indotto i giocatori a credere di acquistare un videogioco tradizionale, mentre in realtà avrebbero ricevuto soltanto una licenza d’uso limitata e revocabile.

Il problema nasce con la chiusura dei server, che ha reso il gioco totalmente inutilizzabile. I giocatori non possono più accedere nemmeno in modalità offline, poiché The Crew richiedeva una connessione costante. Questo ha portato alla scomparsa completa del contenuto, compresi eventuali acquisti digitali in-game.

Cosa dice Ubisoft su The Crew: “Avete ottenuto ciò per cui avete pagato”

Nella sua risposta ufficiale, l’azienda ha chiesto al tribunale di archiviare la causa. L’avvocato Steven A. Marinberg, che rappresenta Ubisoft, ha dichiarato:

“Dopo aver effettuato l’acquisto, i querelanti hanno potuto accedere a The Crew per anni, prima che Ubisoft decidesse, alla fine del 2023, di ritirare il gioco e chiudere i server. I querelanti hanno ricevuto il beneficio dell’accordo e non possono lamentarsi oggi di essere stati ingannati semplicemente perché Ubisoft non ha creato allora una versione offline del videogioco dismesso.”

La difesa fa leva sul fatto che, già dalla confezione, fosse indicata la necessità di una connessione online e la possibilità che determinati servizi potessero essere ritirati. Inoltre, Ubisoft sostiene che i termini di utilizzo chiarivano la natura di licenza del prodotto.

La questione dell’attivazione “valida fino al 2099”

Uno degli elementi chiave portati avanti dai legali dei giocatori riguarda proprio il packaging fisico del gioco. Alcune versioni riportavano che il codice di attivazione sarebbe stato valido fino al 2099. Un’informazione che, secondo l’accusa, implica che i contenuti sarebbero rimasti disponibili per un periodo significativamente più lungo.

Un altro punto centrale della class action Ubisoft The Crew riguarda la valuta in-game acquistata con denaro reale. In base alle leggi californiane, i buoni regalo non possono scadere. I crediti digitali, che di fatto funzionavano in modo analogo, sono invece spariti con la chiusura dei server, potenzialmente violando tali norme.

Ubisoft e la Class Action in California

Un problema sistemico nell’industria digitale

Questo caso legale non è isolato. Negli ultimi anni diversi servizi e giochi online sono stati chiusi, lasciando gli utenti senza accesso a contenuti regolarmente acquistati. Tra gli esempi più noti troviamo:

  • Google Stadia, chiuso a inizio 2023, con un parziale rimborso agli utenti;
  • Overwatch 1, disattivato in favore di Overwatch 2;
  • Marvel Heroes Omega, scomparso completamente senza preavviso.

La problematica si estende oltre il mondo dei videogiochi: anche piattaforme di eBook, musica e film, come Kindle o PlayStation Store, hanno già rimosso contenuti digitali acquistati dagli utenti.

La risposta legislativa

Nel tentativo di arginare questa tendenza, nel 2024 il governatore della California Gavin Newsom ha firmato una legge che obbliga le aziende a specificare chiaramente se il consumatore stia acquistando un prodotto o una licenza d’uso. Una differenza fondamentale che fino a poco tempo fa era spesso poco trasparente.

Inoltre, la piattaforma Steam ha aggiornato le diciture durante il processo d’acquisto, indicando che ogni “acquisto” corrisponde a una “licenza non esclusiva”.

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Quale sarà il futuro della proprietà digitale?

Il risultato della class action Ubisoft The Crew potrebbe costituire un precedente importante. Se i giudici dovessero riconoscere la validità delle accuse, le software house potrebbero essere costrette a fornire versioni offline dei giochi o a comunicare in maniera più chiara la natura dei contenuti acquistati.

Se invece il caso verrà archiviato, il rischio è quello di normalizzare la pratica: acquistare qualcosa che può essere rimosso in qualsiasi momento, senza rimborsi, senza spiegazioni, senza tutele.

Il dibattito è più aperto che mai. E riguarda tutti. Perché in un’epoca dove tutto è digitale, anche la proprietà è diventata… opzionale.

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